mercoledì 10 ottobre 2012

Lode alla conoscenza; lode alla società del merito

di Elena

Impara la cosa più semplice!
Per quelli il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
impara l’abbici: non basta è vero,
ma imparalo! Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te prendere il potere.

Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara sessantenne!
Tocca a te prendere il potere!

Frequenta la scuola senzatetto!
Procurati sapere tu che hai freddo!
Affamato impugna il libro: è un arma.
Tocca a te prendere il potere.

Compagno, non temere di chiedere!
Non dar credito a nulla,
Controlla tu stesso!
Quello che non sai di tua scienza
in realtà non lo sai.

Verifi ca il conto:
tocca a te pagarlo.
Poni il dito su ogni voce,
chiedi cosa signifi ca
Tocca a te prendere il potere.

BERTOLT BRECHT

Se qualcuno parla di MERITOCRAZIA, nel nostro bel Paese, non parla di Diritto di uno Stato civile, ma è un vigliacco populista che vuole ubriacare la gente per estirpare voti. E così il nostro bel Renzi parla di merito? E’ un demagogo che ha snaturato i valori della sinistra che ha aihmé oltrepassato il vizio antico del “Compagno compagno tu lavora che io magno”. Avessi sentito un esponente dirigente di qualsiasi “fazione” politica  almeno provare a inventare un argomentazione sulla questione, si accenna per “dovere politico” piuttosto che morale l’inaccettabilità del taglio fondi che la scuola ha ricevuto nel corso degli anni, del salasso insopportabile che ha impoverito le possibilità di insegnamento, di strutture inadeguate, di laboratori inesistenti, ma tutto tace sul perché sempre più insegnanti non siano soltanto demotivati dal loro lavoro, ma lo vedano come la spiaggia di frustrazione in cui gettarsi quando ormai tutte le speranze di salpare l’onda del proprio sogno è scomparsa (poverini a confrontarsi ogni giorno con studenti convinti che non ci sia spazio per loro e si annichiliscono nel rifiuto del sapere). Io sarò pazza, ma per me il poter insegnare qualcosa, il poter aiutare qualcuno a cercare gli strumenti con cui costruire la sua forma mentis e sperare che un giorno il mio stesso allievo mi contesti pesantemente sono davvero un sogno irraggiungibile e non una deriva inaccettabile e credo che non lo farei forse bene, ma sicuramente con passione e con la voglia di gridare a questi giovani di domani, (che oggi sono io) che si può fare ciò che si vuole. Fattostà che della mia motivazione poco importa e per i miei risultati accademici duramente faticati non si spenderà nemmeno un secondo di attenzione, si faranno ricerche capillari sul chi sono io, ma non come persona, come percorso formativo, puntualità e responsabilità ma purtroppo per me come network sociale e lì? Il CV di schedatura animale attentamente redatto con le migliori tecniche di comunicazione (poi ci stupiamo che ormai si faccia soprattutto attenzione ad esse) dimostrerà che oltre il merito non ho nessuna risorsa da spendere e delusa andrò a ripiegarmi in una disoccupazione che se tutto va bene si limiterà ad essere una “disoccupazione intellettuale” e non una disoccupazione totale.
Se dico che John Stuart Mill sosteneva l’uguaglianza nei punti di partenza e non la garanzia di uguaglianza dell’arrivo, dico qualcosa in cui tutti siamo d’accordo. Se non ci fosse stata una scuola pubblica sicuramente io non sarei stata qui a scrivere, certamente non avrei avuto tempo per i miei “passatempi giochi intellettuali”, con grande dignità mi sarei accontenta di un lavoro senza richieste particolari. Ma il mio bel Paese mi ha voluto “illudere”, mi ha detto che la cultura è un ascensore sociale con cui avrei  potuto fare ciò che volevo grazie al mio impegno e alle mie capacità. Mi hanno insegnato la rivalità del cercare sempre di essere la migliore e poi oggi si stupiscono che mi si scalda la testa se mi dicono che in Italia i posti dirigenti (nel privato e soprattutto nel pubblico) sono per il 68% (scusate se è poco) gestiti dalla rete sociale di riferimento. Quando nel gergo politichese mi si cerca di convincere che il nostro Stato è questo e, il merito farebbe dei danni clamorosi perché interromperebbe il tessuto sociale mi viene l’orticaria. L’altra grande bugia è che ci sono troppi laureati, non possiamo avere tutti dirigenti. Il nostro sistema scolastico napoleonico si cerca di curare con una pomata avariata e anticostituzionale che è il numerus clausus con cui immagina di creare il giusto numero di laureati da occupare in ogni settore, senza domandarsi la percentuale di talenti potenziali andati sprecati tra una crocetta e l’altra. Ma d’altra parte un politico non potrebbe proporre quello che secondo me sarebbe auspicabile: una complessizzazione di alcuni corsi di studi che generano la “disoccupazione intellettuale”, quei corsi appartenenti ad una sorta di new university che non sono né carne e né  pesce, che sfornano laureati con voti esageratamente alti in quantità industriali limitandosi ad una programmazione e ad un peso di studio imbarazzante per una persona che a conclusione si voglia considerare “Dottore” in qualche materia. Questa falsa lettura sessantottina in cui tutti si dovevano laureare si è semplicemente ridotta ad un allungamento dell’agonia degli studenti che credono di ottenere qualcosa dal loro studio che per i più fortunati può essere molto superficiale tanto gli altri rimandano soltanto a più tardi il conto della loro provenienza sociale, dato che tali titoli hanno perso nel mondo del lavoro la loro necessaria credibilità e il discriminante da sostituire al merito ancora una volta il maledetto tessuto sociale strettamente incagliato nella maglia fitta dei giochi di potere.
Ma questo non significa che io non creda nella cultura, la conoscenza che è frutto della metabolizzazione individuale dei concetti e che non è chiusa in alcun parametro metrico di valutazione rimane per me la cosa più interessante e bella di cui l’umanità dispone :

 “Non avvilirti!
Comincia! Devi sapere tutto!
Tocca a te prendere il potere”.

e così mi sono messa ad Imparare sperando di vivere del mio MERITARE, perché qualcuno finalmente si accorgerà che se non vogliamo disastri dobbiamo riconoscere la validità ancor prima della socialità ereditaria.

Elena

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